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La storia del Parlare in pubblico

 

Il parlare in pubblico è considerata una delle più antiche, se non la prima, disciplina della comunicazione. Non è possibile avventurarsi in questo terreno senza qualche cenno storico e senza far riferimento alle opere del filosofo Aristotele, considerato il maestro dei sapienti, non solo per quanto riguarda l’arte della retorica. Si potrebbe dire che Aristotele è stato il genio speculativo maggiore in tutta la storia della filosofia o, comunque, della storia del pensiero greco. L’unico a insidiarlo nel suo primato potrebbe essere il suo maestro Platone ma, se Platone resta un campione insuperabile di genialità filosofica, per avere, per primo, dischiuso alla filosofia il suo vero mondo che è quello del pensiero (il mondo delle idee), Aristotele fu e sarà sempre il maestro del pensare criticamente e sistematicamente, com’è proprio di ogni sapere scientificamente fondato.

Oggi più che mai con l’avvento dei sistemi di comunicazione di massa la retorica è diventata una base insostituibile per la comprensione delle tecniche di persuasione e dobbiamo dire che, nella sostanza, benché siano trascorsi quasi 2400 anni, le teorie del filosofo stagirita appaiono perlopiù di evidente attualità. Ma non solo, oggi si assiste ad una grande rivalutazione della retorica, anzi, possiamo dire che essendo la nostra una civiltà di immagine fortemente condizionata dai mezzi di comunicazione di massa, e la nostra cultura una cultura spettacolo, la comunicazione retorica è diventata una costante del vivere quotidiano e delle nostre relazioni.

La retorica di Aristotele descrivendo le regole di una tecnica metodica della persuasione,  cerca di determinare e spiegare logicamente le leggi che stanno dietro i fenomeni, fornendo all’oratore un ventaglio di consigli pratici come, per esempio, il determinare fra il pubblico l’emotività più favorevole per raggiungere i propri obiettivi di comunicazione. Prima di Aristotele vi furono, naturalmente, altre figure di retori che la storia considera importanti, fra gli altri, Corace e Tisia dalla Sicilia, che avrebbero constatato per primi che persuadere molte persone riunite insieme richiede metodi e tecniche diverse da quelle utilizzate per convincere una sola persona, ma Aristotele è considerato storicamente il più accreditato insegnante di retorica di tutti i tempi. Non a caso, ancora oggi, rappresenta un punto di riferimento per tutti i comunicatori degni di questo nome, i quali sono certamente d’accordo con Aristotele nel sostenere che il discorso si compone di tre elementi: colui che parla (quello che oggi chiamiamo l’emittente), ciò di cui si parla (il contenuto), e colui al quale si parla (il destinatario).

Nell’epoca moderna, pur partendo dal punto di vista aristotelico, il concetto di comunicazione ha subito, come vedremo, profonde modificazioni. Oggi parlare in pubblico è alla portata di tutti, nel senso che, se limiti ci sono, appartengono alla personalità degli individui e non certo alla libertà di espressione mentre nell’antichità l’oratoria era, per ovvie ragioni, prima fra tutte la possibilità di accedere agli studi, appannaggio delle classi più alte. Nella sostanza i discorsi che si facevano in pubblico, specie nelle antiche democrazie delle città stato, rappresentavano interessi di ordine politico e quasi sempre erano legati ai problemi della città.

Ne derivava che i discorsi erano in linea di massima collocabili in tre generi specifici: deliberativo, giudiziario, epidittico. Nel genere deliberativo l’oratore interviene su una decisione per modificarne i contenuti, consiglia ciò che è utile e sconsiglia ciò che è dannoso. Nel discorso giudiziario l’oratore conduce il giudice nella decisione di assolvere l’innocente o condannare il colpevole, ovvero di accusare o di difendersi in un processo. Il discorso epidittico o celebrativo ha la funzione di lodare la bellezza e di biasimare ciò che è brutto, ma comprende anche la funzione di commemorare un evento o un personaggio importante.

Insomma, nell’antichità, relativamente alle funzioni del discorso, come nei tempi moderni, gli oratori esprimevano argomenti. Gli argomenti non sono mai rigorosamente dimostrabili ma probabili, perciò ogni discorso viene presentato al pubblico con la convinzione di essere valido. Si esprimono opinioni che, come tutte le opinioni, sono opinabili. Quindi, parlare in pubblico significa argomentare col fine di portare le opinioni degli altri verso le nostre. L’obiettivo è quello di conquistare il pubblico che ci ascolta cioè trascinarlo dalla nostra parte. Possiamo dunque affermare che: l’arte di parlare in pubblico è l’arte della persuasione.

Persuadere significa anche influenzare, termine che dà un’idea di manipolazione, di una qualche pretesa di far cambiare l’opinione degli altri per ottenere vantaggi per l’emitten­te. In senso speculativo è proprio quello che accade, è il fine della retorica. Ma allora parlare in pubblico e usare la propria abilità comunicativa, se ciò comporta una manipolazione, non è etico? Fra le persone comuni, nell’immaginario collettivo insomma, l’idea della manipolazione non rappresenta apparentemente un aspetto positivo della comunicazione, ma come vedremo nell’apposito capitolo, non è così. Influenzare gli altri attraverso la comunicazione fa parte di un sistema sequenziale finalizzato alla crescita di tutti. Basti pensare all’uso della comunicazione persuasiva per la vendita di prodotti, di servizi, senza la quale la società dei consumi si arresterebbe con conseguenze deflazionistiche notevoli.

Influenzare il pubblico non dà solo vantaggi all’emittente, ma produce negli altri nuove consapevolezze. Ogni comportamento del destinatario del nostro messaggio, ne influenza un altro e nell’altro genera una reazione. Possiamo dire che  influenzare gli altri attraverso messaggi verbali ha sempre fatto parte del sistema delle comunicazioni. Il dato su cui riflettere semmai è l’onestà intellettuale, messa in atto dai singoli e dai sistemi informativi e massmediali, nel senso dell’organizzazione intenzionale dei messaggi nei confronti degli altri, tale da orientarne reazioni, comportamenti, consumi. L’eticità della comunicazione, insomma, è tutta nel nostro obiettivo.

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