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La paura di parlare in pubblico

 

Parlare in pubblico, dobbiamo dirlo, può far paura, e la paura senz’altro limita le capacità comunicative. In uno studio effettuato in Inghilterra la paura di parlare in pubblico è risultata al primo posto tra le fobie degli intervistati, precedendo addirittura la paura di calamità naturali e quella delle malattie. Pensate se il panico arriva all’inizio di una riunione quando tutti si aspettano da voi una ampia disamina dei fatti o nel bel mezzo di un intervento oppure in un seminario dopo qualche istante che avete preso la parola. Va detto, comunque, che la fase più critica del parlare in pubblico è quella iniziale. Cominciate a sudare, la cravatta vi sembra una forca, la lingua vi si attacca al palato, il vostro viso assume il colorito di una luce al neon, mentre gli sguardi di tutti restano puntati su di voi che non profferite parola. Certo, sono situazioni limite, ma fino ad un certo punto. Nei miei primi anni di carriera, ho vissuto personalmente di queste “tragedie” ed ancora oggi, pur avendo acquisito le giuste tecniche per parlare in pubblico, ogni qualvolta mi alzo per prendere la parola provo una certa apprensione. Fortunatamente, adesso ho imparato a tenere sotto controllo il mio stress emotivo, trasformandolo in energia positiva.

Parlare in pubblico non ci è familiare per una lunga serie di ragioni, prima fra tutte quella legata a precedenti esperienze negative, da ricercarsi anche lontano nel tempo. È difficile dimenticare le brutte figure fatte in pubblico: sono traumi difficili da cancellare.

Alcuni aspiranti oratori in difficoltà, pensano che dietro la loro fobia di affrontare il pubblico ci siano delle ragioni psicologiche, ma il più delle volte non è così. L’ansia nasce soprattutto dalla non padronanza dell’argomento che si va trattare e dalla mancata conoscenza del destinatario, abbinata alla consapevolezza di “andare allo sbaraglio”, ovvero senza il supporto di metodi e tecniche adeguati. Nasce, dal timore di non riuscire a superare improvvise difficoltà, dalla preoccupazione di apparire goffi e insignificanti a prescindere dalle proprie capacità intellettuali. è verosimile, anche, che la nostra paura nasca semplicemente dalla coscienza di non avere una formazione mirata a sviluppare questa attitudine: non siamo abituati a proiettarci verso gli altri, ad essere espansivi, a superare le nostre timidezze, in altre parole nessuno ci ha insegnato ad essere “emotivamente intelligenti”. Davanti al pubblico ci sentiamo improvvisamente nudi, esposti, l’adrenalina scatena tutta una serie di eventi psicofisiologici che dobbiamo imparare a gestire , prendendo coscienza della “sintomatologia”, per così dire, dell’ansia. Gli esperti definiscono tonico uno stress ordinario, cioè positivo, utilizzabile per “caricare” le pile. Lo stress diventa tossico quando si fa insopportabile, quando raggiunge una soglia critica ingovernabile. È quello che può accadere al neofita che ad un dato momento può percepire la sua esposizione come una minaccia non più come una sfida con cui misurarsi. È l’attimo più critico, quello in cui l’oratore può perdere il controllo. Diventa allora necessario utilizzare l’energia nervosa per migliorare la vostra comunicazione, aumentare il tono della voce, dare sfogo alla gestualità, alzarvi se siete seduti, prolungare il contatto visivo col pubblico. Ma soprattutto dovreste porre attenzione al fatto che lo stress è quasi sempre un problema vostro, e come tale, non visibile all’esterno! Quindi, se il panico è ingiustificato, se gli altri non vedono il vostro disagio, vi occorre solo la freddezza di rimettere in ordine le idee, di prendervi qualche secondo per  riprendere il controllo dei vostri muscoli (di quello cardiaco specialmente!) fino a quando la soglia critica non sarà superata. Lo stress tossico dura circa 60/90 secondi poi ridiventa tonico, funzionale, tale che ci tiene svegli, ci fa percepire la platea o il gruppo, ci mantiene attivi e recettivi, insomma ci rende protagonisti della scena

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